Sono passati quasi due anni da quando il tecnologo e co-autore del famoso Cluetrain Manfesto David Weinberger, parafrasando il celebre aforisma di Marshall McLuhan “The medium is the message”, menzionò su Twitter un post del suo blog digitando in meno di 140 caratteri:
We are the medium” says something obvious that I’ve been thinking for a long time.
Le informazioni, le foto, i video e altri contenuti multimediali presenti in Rete
si muovono su diversi canali di comunicazione online grazie alla spinta degli utenti. Sono quindi le persone a costituire l’elemento portante del nuovo medium sociale e tecnologico e i contenuti si muovono attraverso di noi,
without us, the transport medium — the Internet — is a hyperlinked collection of inert bits. We are the medium.
Grazie a una democratizzazione degli strumenti produttivi, al miglioramento delle interfacce dei software informatici sempre più user-friendly e al relativo abbassamento dei costi di equipaggiamenti professionali, oggi è alla portata di molti (ovviamente in relazione alle capacità personali) la produzione di contenuti grafici, audiovisivi, web e così via. La Rete ha poi agito da piattaforma universale per consentire una diffusione su scala globale di ulteriori strumenti necessari per collaborare, dove la peer-production, la produzione a opera di un gruppo di pari, si pone alla base di un nuovo modo di agire, ben delineato nell’opera “Wikinomcis 2.0” di Don Tapscott e Anthony D. Williams.
La profezia di Marshall McLuhan e Barrington Nevitt (1972) in cui si preannunciava che la tecnologia elettrica avrebbe reso ogni consumatore un produttore è oggi realtà: il prosumer (Toffler 1980) è il nuovo attore del mercato (post)moderno. Questo nuovo utente, nel cosiddetto Web 2.0, diventa unbroadcaster in grado di produrre contenuti e pubblicarli su piattaforme di condivisione, diffondendo informazioni sulle proprie attività anche in tempo reale.
Tale scenario viene ben descritto con grafici e tabelle nell’ultimo rapporto Censis sulla comunicazione in Italia pubblicato la scorsa settimana: “I media siamo noi. L’inizio dell’era biomediatica”, questo il titolo della decima edizione del report che ci mostra come, grazie ad un cambiamento della dieta mediale degli italiani che vede una costante diminuzione del cultural edigital divide, gli utenti incomincino a personalizzare in maniera sempre più frequente il proprio palinsesto multimediale (il 42,4% guarda i programmi della tv tradizionale attraverso YouTube).
La televisione rimane il media con il maggior numero di utenti (98,3% degli italiani), seguita dallaradio (83,9%) e dal cellulare (81,8%). I quotidiani registrano un calo del 3,7% rispetto al 2011, mentre il livello di penetrazione di Internet (62,1%) raggiunge il massimo tasso di incremento tra il 2011 e il 2012 (+9%), attestandosi come il medium preferito dagli investitori pubblicitari (+12,3%). L’aumento di utenti che accedono alla Rete va di pari passo con la diffusione degli smartphoneutilizzati dal 27,7% della popolazione (+10% rispetto al 2011) e altri dispositivi mobili come i tablet, preferiti in prevalenza dai giovani di età compresa tra i 14-29 anni (13,1%).
Quello che il 9 gennaio del 2007 era un “segnale debole” dal futuro (Philippe Cahen), intravisto dal visionario Steve Jobs, è oggi un segnale molto forte: i mobile devices, che integrano le funzioni dei vecchi media, divengono protesi digitali che ci permettono di trascrivere quotidianamente in tempo reale la nostra identità, il nostro flusso di coscienza in Rete. Nel cyberspazio
l’io è al tempo stesso soggetto e oggetto della comunicazione mediale anche perché l’autoproduzione di contenuti nell’ambiente web privilegia in massima parte l’esibizione del sé: l’utente è il contenuto. Con la definitiva promiscuità tra il mezzo e il suo utente, la fenomenologia dello sharing tramite Facebook, gli utenti della rete creano di continuo contenuti aggiornando il proprio status, postando commenti, pubblicando fotografie e video, immettendo in rete una quantità di dati personali impressionante, che rivelano in modo estemporaneo pensieri, emozioni, abitudini, opinioni politiche, orientamenti religiosi, gusti sessuali, condizioni di salute, situazioni sentimentali, amicizie, località visitate, preferenze di consumo, percorsi formativi, vicende lavorative e professionali, vizi e virtù personali, nonché informazioni che riguardano anche gli altri, familiari e conoscenti.
(Fondazione Censis, Sintesi per la stampa: Decimo Rapporto Cnesis/Ucsi sulla comunicazione 2012, p.2)
In tale contesto, in cui la nostra biografia personale diviene il contenuto mediatico, è lecito chiedersi:quale valore assume la privacy sul web?
Il principale timore degli internauti è relativo alla possibile ingerenza esterna da parte di soggetti di mercato che attraverso pratiche non trasparenti tracciano le keywords inserite nei motori di ricerca profilando i gusti degli utenti. A tal proposito il 54,3% degli italiani pensa che sia necessario tutelare maggiormente la privacy per mezzo di una normativa più severa che preveda sanzioni e la rimozione dei contenuti sgraditi. In generale, il 75,4% di chi accede a Internet ritiene che esista il rischio che la propria privacy possa essere violata sul web soprattutto perché sui social network vi è la possibilità che qualcuno pubblichi contenuti e immagini che li riguardano (45,3%). Di parere opposto, invece, una quota marginale pari all‘8,9% della popolazione che ritiene inutile proteggere la privacy nell’era del social networking e della condivisione online. Le nostre impronte digitali (indelebili) presenti nei percorsi rizomatici della Rete rappresentano una minaccia al cosiddetto diritto all’oblio.
In merito a questo tema, che insieme a quello della persona digitale e ad altre riflessioni sul mondo della comunicazione verrà trattato il mese prossimo in occasione dell’evento organizzato dall’Associazione “Amici di Media Duemila” per il conferimento del Premio “Nostalgia di Futuro”, il rapporto Censis ci dice che sono numerose le persone favorevoli alla cancellazione dei dati dalla memoria collettiva di Internet:
il 74,3% afferma che ognuno ha il diritto di essere dimenticato e che le informazioni personali sul nostro passato, se negative o imbarazzanti, dovrebbero poter essere eliminate dal web.
(Fondazione Censis, Sintesi per la stampa: Decimo Rapporto Cnesis/Ucsi sulla comunicazione 2012, p.11)
Vedrà il 2013 una strategia di revisione organica e armonica delle norme che tutelano la protezione dei dati personali in Rete, dando seguito alla proposta di legge incardinata di recente dal commissario UE per la Giustizia Viviane Reding?
Marco Cerrone
Pubblicato il 13 ottobre 2012 su Media Duemila
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